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Del CAIMANO si è parlato più che in abbondanza. Troppo, quando si è trattato di spacciarlo per un volgare manifesto strumentale nel clima di inciviltà che sappiamo. Troppo poco, per considerarlo quanto invece è: un film importante e complesso, un film anche malinconico, sulla fatica di far cinema, sulla difficoltà di farla quadrare con un'altra fatica, quella del proprio privato. Nella rivisitazione agrodolce del cinema italiano degli ultimi decenni; il tutto nella disillusione pubblica di un Paese che stenta a ritrovarsi. Sono tutta una serie di sovrapposizioni, tante urgenze, forse troppe, di un film proprio per questo da vedere e rivedere; segnato dalla personalità, si fa finta di dimenticarlo a destra ma pure a sinistra, più marcante del cinema italiano delle ultime generazioni.

Quando di IL CAIMANO si dice che è importante, lo si fa dopo essere giunti alla conclusione che non è il film stilisticamente più magistrale del proprio autore (PALOMBELLA ROSSA), non il più divertente (ECCE BOMBO, SOGNI D'ORO), non il più intimo (CARO DIARIO) e nemmeno il più accorato (LA CAMERA DEL FIGLIO). Lo si dice dopo aver capito che non si tratta tanto di uno sberleffo nei confronti di un Berlusconi che sugli sberleffi si è costruito. Anche se nell'architettura del film questi appaia sotto ben quattro sembianze successive. Una prima sono le sue apparizioni autentiche, estratte dagli archivi televisivi: e costituiscono di gran lunga, i momenti più comici de IL CAIMANO. La seconda è tutta vissuta nell'immaginazione del produttore interpretato da Silvio Orlando: ma che, preso com'è dal proprio fallimento professionale e più ancora familiare non afferra ancora, contrariamente allo spettatore, chi sia al centro della sceneggiatura presentatagli dall'aspirante regista Jasmine Trinca. Nella terza è affidata ad un Michele Placido autoironico il compito di appropriarsi di alcune delle esternazioni più celebri del premier. Ed infine con l'ultimo azzardo drammaturgico, quando ad incarnare Berlusconi è qualcuno che credevamo ormai assente: Nanni Moretti senza la forzatura caricaturale che ci si poteva anche attendere; con la gravità ed il coraggio che non è lontana dal ricordare quella del famoso discorso di Chaplin che conclude IL DITTATORE.

Cosi, in un film costruito e interpretato perfettamente, le due personalità finiscono per confondersi: in un contrappunto di rabbia ed impotenza, sarcasmo e tenerezza, smarrimento e lucidità che costituiscono la memoria del film. IL CAIMANO non è il film più “bello” di Moretti, ma il più impossibile; e in questo senso il più maturo. Perché vuol essere un film sull'Italia e non sul Berlusconi che si tinge i capelli e mostra le corna alle spalle dei colleghi: ma l'ltalia degli ultimi 30 anni, come dice, Jasmine Trinca “è” Berlusconi. Cosi il film non sfugge al proprio destino. Come quel privato cosi facile da riuscire, perché vero; piuttosto di quel pubblico, per non dire politico, cosi sgangherato da renderne impossibile anche una messa alla gogna.

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There has been more than enough talk about IL CAIMANO. Too much, when it came to passing it off as a vulgar instrumental manifesto in the climate of incivility we know. Too little, to consider it as what it is: an important and complex film, a melancholic film too, on the fatigue of making cinema, on the difficulty of balancing it with another fatigue, that of one's own private life. It is a bittersweet revisitation of Italian cinema in recent decades; all in the public disillusionment of a country struggling to find itself. There are a whole series of overlaps, many urgencies, perhaps too many, in a film that is precisely why it must be seen and seen again; marked by the personality, one pretends to forget it on the right but also on the left, most marked in Italian cinema of recent generations.

When it is said of IL CAIMANO that it is important, it is said after having come to the conclusion that it is not the most stylistically masterful film of its author (PALOMBELLA ROSSA), not the funniest (ECCE BOMBO, SOGNI D'ORO), not the most intimate (CARO DIARIO) and not even the most heartfelt (LA CAMERA DEL FIGLIO). This is said after realising that it is not so much a mockery of a Berlusconi who has built himself on mockery. Although in the film's architecture he appears in no less than four successive guises. The first are his authentic appearances, extracted from television archives: and they constitute, by far, the most comic moments of THE CAIMAN. The second is all in the imagination of the producer played by Silvio Orlando: but who, caught up as he is by his own professional and even more familial failure still does not grasp, contrary to the viewer, who is at the centre of the script presented to him by aspiring director Jasmine Trinca. In the third, a self-mocking Michele Placido is entrusted with the task of appropriating some of the premier's most famous utterances. And finally with the last dramaturgical gamble, when the incarnation of Berlusconi is someone we thought was now absent: Nanni Moretti without the caricature forcing that might also have been expected; with the gravity and courage that is not far from recalling that of Chaplin's famous speech that concludes THE DICTATOR.

Thus, in a perfectly constructed and performed film, the two personalities end up blurring: in a counterpoint of rage and impotence, sarcasm and tenderness, bewilderment and lucidity that constitute the film's memory. IL CAIMANO is not Moretti's most beautiful film, but the most impossible; and in this sense the most mature. Because it wants to be a film about Italy and not about Berlusconi who dyes his hair and shows his horns behind his colleagues' backs: but the ltaly of the last 30 years, as Jasmine Trinca says, is Berlusconi. So the film does not escape its own destiny. Like that private so easy to succeed, because it is true; rather than that public, not to say political, so unhinged as to make even a pillorying impossible...

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